Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 08 dicembre 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Le risorse di klotho nella sclerosi multipla e in altre malattie neurodegenerative. Klotho, una proteina di recente scoperta la cui iper-espressione è associata al prolungamento della vita, ha suscitato interesse per i suoi potenziali impieghi terapeutici, ma ora, esaurito l’entusiasmo iniziale, si è drasticamente ridotto il numero dei nuovi studi che ne indagano le risorse. Klotho è altamente espressa nei plessi corioidei, nei neuroni e nel rene, e partecipa a molte vie metaboliche, rivestendo un ruolo importante nell’equilibrio calcio-fosfati, nella rimielinizzazione e, soprattutto, nei processi cognitivi. Un’interessante rassegna propone i più recenti progressi sul ruolo di klotho nella patologia neurodegenerativa e, in particolare, nella sclerosi multipla; riporta poi le maggiori evidenze circa il suo ruolo neuroprotettivo in generale, considera le sue principali applicazioni cliniche. [Torbus-Paluszczak M., et al. Neurol Sci. 39 (10): 1677-1682, 2018].

 

L’interessamento della materia grigia nella sclerosi multipla è connesso con il declino cognitivo? Basandosi su studi precedenti che hanno dimostrato rapporti tra riduzione delle prestazioni cognitive e atrofia della materia grigia e tempi di rilassamento alla risonanza magnetica (MRI) in pazienti affetti da sclerosi multipla, ricercatori del CNR di Napoli e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Federico II di Napoli hanno studiato 241 pazienti affetti dalla forma remittente-recidivante della malattia, per indagare il ruolo delle variazioni macrostrutturali, in termini di volume della materia grigia, e microstrutturali, definite mediante MRI. I risultati suggeriscono che l’unico elemento sicuramente associato alla prestazione cognitiva dei pazienti sia il danno tessutale nelle lesioni della sostanza bianca, che agirebbe attraverso la disconnessione. L’interessamento della materia grigia sembra invece associato solo alla disabilità fisica. [Cfr. Megna R., et al., J Neurol AOP - doi: 10.1007/s00415-018-9139-6, Nov. 29, 2018].

 

Età della menopausa, disturbi emozionali e metilazione del DNA. In clinica si tende comunemente a riportare i disturbi affettivo-emotivi peri-menopausali agli squilibri ormonali e l’età di inizio del climaterio a fattori genetici ereditari. Studi recenti impongono una revisione di questi luoghi comuni. L’eredità circa l’età in cui una donna entra in menopausa sembra incidere per il 47% e, dunque, il 53% dell’incidenza causale rimane da identificare. Bacon e colleghi hanno studiato – in generale e nell’ipotalamo in particolare – i cambiamenti trascrizionali ed epigenetici, rilevando variazioni nella metilazione del DNA di geni importanti per la segnalazione ormonale, la neurotrasmissione del glutammato, le vie della melatonina e quelle della regolazione circadiana. Alcuni di questi cambiamenti consentono di spiegare l’insonnia e le conseguenti alterazioni della regolazione emozionale dovute al difetto di attività di re-setting che ha luogo normalmente durante il sonno.

I ricercatori hanno dimostrato l’esistenza di un periodo di “invecchiamento cerebrale” che precede quello neuroendocrino, e il ruolo della metilazione del DNA nel regolare la durata della transizione dal periodo di premenopausa a quello caratterizzato dalla cessazione delle mestruazioni. [Bacon E. R., Neurobiol Aging 74: 213-224, 2018].

 

Spiegata l’apparente mancanza di empatia che può aversi dopo trauma cerebrale. Uno studio, che ha replicato il risultato ottenuto in precedenza di bassi punteggi al test che valuta il possesso di una “teoria della mente”, ovvero della capacità di rendersi conto dello stato mentale degli altri, mostra un’associazione con bassi punteggi alla working memory sociale (SWM) nei portatori di danno cerebrale da trauma. Lo studio rivela anche un vantaggio delle donne nei compiti di cognizione sociale. [Cfr. Turkstra L. S. et al., Neuropsychologia 111: 117-122, 2018].

 

I cervelli più grandi sono realmente migliori in termini di intelligenza? L’annosa questione del rapporto fra intelligenza e volume cerebrale, che risale al diciannovesimo secolo e sembrava definitivamente consegnata agli archivi storici con la comprensione del valore relativo di singoli fattori e dell’importanza del volume totale solo in condizioni patologiche (microcefalia, microgiria, ecc.), sta tornando di attualità. Nave e colleghi hanno realizzato, nel Regno Unito, uno studio su un campione più grande del 70% della somma dei partecipanti a tutti gli studi precedenti, ossia 13.608 volontari. I ricercatori hanno trovato una forte connessione tra intelligenza fluida e volume cerebrale, e poi una relazione positiva tra volume cerebrale totale e successo scolastico. Tali rapporti erano prevalentemente da ascriversi alla materia grigia, piuttosto che alla sostanza bianca e ai fluidi. Infine, l’effetto delle dimensioni era simile in entrambi i sessi e a tutte le età. [Cfr. Psychol Sci. AOP – doi: 10.1177/0956797618808470, 2018].

 

Le differenze cerebrali fra i sessi rilevate con fMRI non sono reali. La rigorosa verifica della significatività, condotta con metodi matematici su 179 studi di neuroimmagine che dichiaravano il rilievo di differenze fra uomini e donne, ha evidenziato in 158 articoli (l’88%) una forzatura tendenziosa nell’interpretazione delle immagini. Le differenze dichiarate nell’abstract non trovavano conferma nel rapporto tra presunte sedi di discrepanza e dimensioni del campione, rivelando una bias da parte degli autori. Solo due articoli dichiaravano correttamente nel titolo l’assenza di differenze significative. [David S. P., et al. Sci Rep. 8 (1): 6082, 2018].

 

L’uomo saggio di Seneca nel confronto col modello cristiano al seminario sull’Arte del Vivere. L’attualità del pensiero di Seneca seduce sempre molti, ad ogni generazione che lo riscopre, e il valore della disciplina necessaria per diventare saggi incuriosisce ed attrae, quando si legge che il saggio supera Giove. L’idea di fondo, necessaria per comprendere l’impianto del pensiero del filosofo di Cordova, ci viene fornita nell’ultima lettera a Lucilio, nella quale si dice che gli uomini che il mondo ritiene i più felici, sono in realtà i più infelici; e questo è dovuto al fatto che la maggior parte degli uomini vive per i “falsi beni”, ossia cose che valgono per il mondo, ma sono piene di inganni e insidie, e non conosce i “veri beni” che portano alla felicità. Seneca definisce così il bene dell’uomo: “Un’anima libera, nobile, che sottomette le altre cose a sé, senza lasciarsi sottomettere da nessuna” (Lettere a Lucilio 124, 11-12).

Seguendo Giovanni Reale, così si possono sintetizzare gli elementi fondamentali discussi da Seneca: 1) stabilire con esattezza in che cosa consiste il vero bene da cui dipende la felicità;

2) intendere che la radice del bene sta nella coscienza e nella buona volontà;

3) rendersi conto che di fronte ai veri beni e ai veri mali tutti gli uomini sono uguali;

4) comprendere qual è il vero senso della vita e della morte e in che cosa consiste il fine dell’uomo;

5) infine, rendersi conto del ruolo di Dio e del Destino e dei rapporti che intercorrono fra l’uomo e il Destino, ossia fra l’uomo e Dio.

Nel complesso, la dottrina di Seneca risulta inevitabilmente, per le opere più note e studiate, come una pedagogia con una prevalente attenzione al comportamento e con obiettivi di progresso individuale ben definiti. Al contrario, il messaggio evangelico, spesso chiarito nel suo senso in opposizione al formalismo comportamentale farisaico, si caratterizza costantemente come insegnamento sostanziale di amore oblativo, ossia inteso quale dono (nel Vangelo amare si legge donare, diceva San Francesco), ed espresso attraverso l’amore del prossimo (“amare il prossimo per amare Dio”).

L’insegnamento del filosofo di Cordova ha il suo fulcro nell’uomo, che deve farsi costruttore di sé stesso, edificandosi nella sua forma migliore, ossia quella del saggio. Quest’ultimo deve la sua stabilità non tanto al raggiungimento di un’atarassia epicurea, quanto all’applicazione quotidiana e perseverante (La costanza del saggio) nell’esercizio dell’arte di vivere secondo i “veri beni”, senza farsi distrarre, scoraggiare, spaventare o sedurre da niente e nessuno. La prospettiva dell’uomo di Seneca è nello stadio seguente da raggiungere sulla via della saggezza. Ricordiamo, al riguardo, che Seneca colloca sé stesso al terzo dei cinque stadi da lui prefigurati.

I Greci traevano forza dal loro passato, dalle loro origini, secondo quella tradizione che Salvatore Natoli chiama fedeltà alla terra. L’orizzonte ebraico-cristiano è del tutto diverso: dalla Terra Promessa alla Gerusalemme Celeste, la forza del cristiano è nel futuro. Seneca si colloca, in qualche modo, nel mezzo: l’uomo impegnato nel presente nella ricerca del vero bene e nel misurarsi confrontandosi a sé stesso, momento per momento, non si occupa troppo del passato e limita il futuro all’obiettivo prossimo da raggiungere sulla via del perfezionamento interiore.

Nella prospettiva esistenziale si può cogliere un’altra differenza col cristianesimo; differenza che risale alla radice giudaica. Come osserva von Raad, la comparsa nell’orizzonte della storia umana del tetragramma JHWH, che si identifica con l’assoluto della speranza, fonda nella fede la vita di chi accoglie la rivelazione. Tale fondamento consiste nella fedeltà di Dio alla promessa, e perciò all’Uomo, nel quale la fede non è che il riflesso di questa certezza.

La promessa della vita eterna è stata mantenuta – spiega mirabilmente Gesù Cristo – perché il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non è Dio dei morti, ma dei vivi.

Un simile fondamento per la coscienza è al contempo trama di senso e valore di esistenza, sostenendo implicitamente ogni atto della vita quotidiana e rendendo indipendente l’uomo dalle contingenze e affidato all’amore del Padre.

La perdita o la mancanza di fede nell’esistenza di un’entità immortale, assoluta, indefettibile e trascendente la natura umana, non pone molte alternative al nihilismo: confidare nell’uomo. E questo confidare nell’altro, che è destino di tutti, espone continuamente a rischi, delusioni, sofferenze, frustrazioni, rendendo evidente come la perdita di fiducia sia causa ed effetto della perdita di speranza.

Il mito mitteleuropeo della bildung, ossia della costruzione di sé, poteva annoverare Seneca se non tra i padri nobili, almeno tra i precursori storici fino all’alba delle crisi di identità del soggetto dell’età moderna che hanno caratterizzato il Novecento. Ma, quando il malessere interiore dell’uomo che aveva vissuto la barbarie di due guerre mondiali, genocidi, deportazioni, campi di sterminio, forni crematori e persecuzioni di ogni genere, diventa forma del pensiero ed orizzonte di realtà, il rapporto con l’altro diviene strutturalmente difficile e quello con l’estraneo è contraddistinto da una gamma di sentimenti negativi che vanno dalla diffidenza al terrore, aggravando la vulnerabilità delle persone più deboli per ragioni psicologiche e psicopatologiche individuali. Jean Paul Sartre dirà la famosa frase: “Gli altri sono l’inferno”. L’umanesimo ateo del maggiore esponente dell’esistenzialismo si sviluppa in una dimensione soggettivista e relativista, che tradisce una profonda solitudine interiore e un’impossibilità di rapportarsi al prossimo senza la mediazione difensiva di strutture teoriche, in grado di relativizzare gli effetti di contrasti e conflitti, con il loro eccessivo potere evocativo e destabilizzante del suo equilibrio psicologico.

Il paragone del prossimo al prototipo della sofferenza estrema ed eterna, sembrava definitivamente cancellare quel concetto magistralmente espresso un secolo prima con una metafora poetica da Victor Hugo: “Speranza è la parola che Dio ha scritto sulla fronte di ogni uomo”. Si ha bisogno dell’altro per leggere quella parola, quando non nasce dentro di noi, dalla nostra fede.

Eppure, nella stessa epoca, all’atteggiamento pessimistico di profonda sfiducia, diffidenza o timore del prossimo manifestato da coloro che condividevano il pensiero di Sartre, faceva da contraltare la costruttiva fiducia di quanti nutrivano sentimenti quali quelli espressi da Anna Frank in queste poche, semplici parole, che fanno rabbrividire ogni volta che le si ascolta o le si legge, pensando alla sua terribile fine: “Nonostante tutto io ancora credo che la gente sia davvero buona nel proprio cuore. Io semplicemente non posso costruire le mie speranze su basi fatte di confusione, infelicità e morte”.

 

Notule

BM&L-08 dicembre 2018

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